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Agent Zero:Una Storia di Rivalsa

Divisa in due

Ieri pomeriggio,  una giovane signora di 40 anni praticamente in lacrime, mi ha chiesto  aiuto per risolvere quello che, a detta sua, stava diventando un vero problema. Un problema così “importante” che sentiva che la sua vita  famigliare stava cominciando a scricchiolare.

In pratica,  mi disse che da tempo sentiva un bisogno sempre più impellente di “realizzazione”. Si era sposata giovanissima interrompendo gli studi universitari. Lavora presso con il marito che fa l’avvocato  ed  ha due bellissimi figli che la amano.

Quando gli chiesi però  che cosa avrebbe voluto avere  di più o più esattamente cosa avrebbe voluto  diventare…non mi ha saputo rispondere. tutto quello che ha saputo fare é descrivermi la sua giornata tipo:

Ogni mattina..

 si sveglia con l’intenzione di dare inizio ad un cambiamento ma regolarmente quando scende dal letto …i buoni propositi  svaniscono sostituiti da una miriade di dubbi….e dopo aver ridimensionato i suoi progetti si arrabbia con il marito e con i figli perché secondo lei non la supportano…dopodiché la rabbia lascia il posto  ad un severo senso di colpa per aver anche solo pensato di dare la colpa a coloro che ama e da cui riceve amore (parole sue).

In pratica era “bloccata”.

Concluse  chiedendomi, senza mezzi termini se potevo liberarla dai dubbi, dalle paure e soprattutto di farla smettere di procrastinare.  Visto che con questa richiesta aveva superato la selezione concordammo  le date degli incontri  e prima di congedarmi volli raccontargli una storia (vera) di un personaggio conosciuto con il nome di “agent zero”.

 

Gilbert in arte "Agent Zero", star pazzesca dell'NBA

Nonostante la grande  bravura, non era sempre stato acclamato dai fan. E nemmeno dagli allenatori. Da nessuno, direi…  Gilbert, poco più che maggiorenne, era un super atleta alto quasi due metri che giocava nella squadra universitaria dell’Arizona.  Un tipo veramente a posto, mite, grandissimo lavoratore, di quelli che si allenano a testa bassa, senza mai accampare scuse o mancare un appuntamento. 

Un talento, eppure… INVISIBILE.

Il padre lo aveva messo in guardia: “Gilbert, non fa per te, in Arizona non ti daranno spazio, giocherai 0 minuti in tutto l’anno. Lascia perdere, non rischiare. prenditi la tua laurea  e metti la testa a posto”  Ma a Gilbert quel “lascia stare” stava strettissimo. E della minaccia di giocare per 0 minuti, per quanto realistica, aveva fatto la sua bandiera.

Infatti Gilbert, grazie alla sua costanza, arriva comunque (e finalmente) a giocare in NBA.  Sente che è il suo momento, che la nebbia si sta allontanando e la sua stella sta per brillare…  E invece… NO, non è così. Non succede nulla di tutto ciò. Il suo allenatore lo fa stare incollato alla panchina, senza mai toccare la palla, nemmeno all’ultimo dei cambi in partita. Sembra incredibile, un destino assurdo e ingiusto che si ripete. Chiunque, a quel punto, avrebbe  mollato  e se ne sarebbe tornato a casa  con la testa bassa.  Chiunque, sì. ma non lui.

"L'allenatore non mi dà spazio?
E io gioco lo stesso... Nella mia testa."

Per 40 lunghissime partite fece cos’ì ….Finché, un giorno… gli viene data  la  possibilità di entrare realmente in campo.  Fu talmente pronto, nonostante mesi in panchina, da non uscirne mai più per il resto della carriera.   Quel giocatore invisibile, quello con la maglietta numero 0, a ricordo delle difficoltà già vissute e superate una volta nella squadra universitaria, si rivela un autentico mostro. Fortissimo.  Una divinità del basket.  Il suo successo lo deve solo a se stesso perché anche se nessuno lo aveva mai sostenuto, lui sapeva, aveva la convinzione radicata,  di avere la stoffa del campione.  Non aveva mai rinunciato, non si era mai voltato indietro e, soprattutto, si era andato a prendere quello che gli spettava con una determinazione potentissima, lavoro duro e una passione incrollabile.

 

Alex Risso

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